di Dominella Quagliata, Consulente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi per le Pari Opportunità.
In questi giorni si sta molto discutendo sull’opportunità dell’emendamento Giuliani alla legge di stabilità, il cosiddetto “Codice Rosa”.
L’emendamento n. 1.131 al ddl Atto della camera 3444 cd. Legge di Stabilità a firma Giuliani, Verini, Ferranti, Ermini, Gribaudo, Tartaglione, Bazoli, Amoddio, Mattiello, Zan, Campana, Guerini, Morani, Rostan, Pini, Locatelli, Galgano, Milanato, Polverini, Bianchi, è da molti percepito come minaccia alla libertà e ai diritti delle donne che subiscono violenza.
Dunque una minaccia o un’opportunità?
Le critiche mosse indicano uno scenario caratterizzato sia da un iter prestabilito e obbligatorio, in cui la donna che ha subito violenza non ha potere di scelta rispetto alla modalità con cui sottrarsi agli abusi, che da un automatismo che tradurrebbe una richiesta di aiuto e di prestazioni sanitarie in azioni di polizia e giudiziarie.
Certamente questa prospettiva è inquietante, ma leggendo l’emendamento potrebbe dedursi tutt’altro.
Il comma 451-bis istituisce un nuovo codice di accesso alle strutture ospedaliere di pronto soccorso denominato «Codice Rosa», con la finalità di tutelare le persone appartenenti alle
fasce della popolazione cosiddette «vulnerabili» che, nell’ambito delle relazioni affettive o di fiducia, più facilmente possono essere psicologicamente dipendenti e per questo vittime della altrui violenza, con particolare riferimento alle vittime di violenza sessuale, maltrattamenti o stalking.
Il comma 451-ter, considerate le esperienze territoriali già operative, come ad esempio tutte le Aziende sanitarie e ospedaliere della Toscana1 , stabilisce l’istituzione di un Gruppo multidisciplinare coordinato tra le Procure della Repubblica, le Regioni e le Aziende sanitarie locali (ASL), finalizzato a fornire assistenza giudiziaria e sanitaria riguardo
ad ogni possibile aspetto legato alla violenza o all’abuso sui soggetti di cui al comma precedente, costituito da magistrati e rappresentanti della polizia giudiziaria, da personale sanitario dipendente delle ASL, volontario o individuato dal Direttore Sanitario, da un
magistrato nominato dal Procuratore Capo e da un sanitario nominato dal Direttore generale della ASL, Gruppo che può essere supportato da altre figure professionali, ivi comprese quelle di ambito socio-amministrativo e rappresentanti del volontariato ed
associazionismo. Inoltre sancisce l’istituzione di un Coordinamento nazionale dei Gruppi, da parte del Ministro della giustizia e del Ministro della salute, allo scopo di delineare, sulla base delle esperienze pregresse nazionali ed estere, le linee guida nazionali per la definizione delle modalità di formazione del personale e delle procedure da seguire durante l’iter del Percorso Rosa. Infine prevede l’istituzione, presso i Pronto Soccorso e i DEA di 1o e 2o livello, di un percorso denominato “Percorso Rosa”, da attivare in seguito all’assegnazione del cosiddetto Codice Rosa in fase di accettazione sanitaria, nonché quella di un Gruppo multidisciplinare formato da figure professionali sociosanitarie e
appartenenti alle forze dell’ordine, nonché da rappresentanti del volontariato e dell’associazionismo, con funzioni di presa in carico della vittima in seguito all’assegnazione del «Codice rosa».
Valutato che nessuna modifica viene apportata alla legge sul femminicidio, approvata nell’ottobre del 2013, in caso di abuso si procede d’ufficio solo se una donna ha subito lesioni gravi o gravissime; se invece la vittima riceve una prognosi inferiore a 20 il procedimento è attivabile esclusivamente dalla querela di parte, ossia la sua denuncia. C’è tempo tre mesi per rivolgersi alle autorità e il limite si eleva a sei mesi per gli atti persecutori (stalking, appostamenti, sms o telefonate continui) e la violenza sessuale.
Alla luce di quanto evidenziato, nonostante le modalità di attuazione dell’emendamento siano ancora in parte da definire, sembra che non si possano evincere minacce per le persone che subiscono abusi, soggetti a cui continuerà ad essere garantita la libertà di scelta sulla possibilità di sottrarsi o meno alle violenze subite, nonché sulle modalità con cui realizzare tale affrancamento. Nessuna restrizione dunque rispetto a ciò che già si
realizza nei pronto soccorso degli ospedali italiani, bensì una maggiore attenzione/formazione che prevede il coinvolgimento, al fianco dei medici, di personale socio-sanitario specializzato, nonché l’attivazione immediata, ove opportuno, di magistrati e rappresentanti della polizia giudiziaria e in seguito delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni, tra cui prioritariamente i centri anti violenza che ci si auspica
possano essere valorizzati in un immediato futuro e che non sono in alcun modo sostituiti dalla procedura di “codice rosa”.
In attesa che il “codice rosa” diventi realtà sarebbe bene che gli psicologi, figura chiave di questo processo, si preparassero a contribuire attivamente non solo in fase operativa, valutata la loro necessaria presenza in triage, ma anche in fase di progettazione esecutiva, per cui saranno necessarie solide competenze organizzative, di progettazione e cliniche.
Ed infine, ma sicuramente non per importanza, è necessario che gli psicologi stabiliscano azioni di politica professionale, atte a garantire la loro presenza ai tavoli decisionali, per
scongiurare il mero coinvolgimento nei ruoli esecutivi.