Nel campo della salute sta aumentando il peso che viene dato alle preferenze delle persone, che entra tra i criteri dell’appropriatezza di un trattamento. In particolare quando le alternative di cura potrebbero avere efficacia comparabile. Questo non è solo un problema etico ma un fattore che incide sulla alleanza terapeutica, l’aderenza al trattamento, la sua efficacia ed in generale sui costi. Se poi parliamo di disturbi psicologici queste considerazioni diventano ancor più significative.
Una analisi condotta su 35 studi ha mostrato che le persone che seguono la terapia preferita (tra psicoterapia, farmaci e trattamento integrato) hanno una migliore aderenza e minore dropout (OR=.59) e un risultato nettamente migliore nella cura (differenza effect size 0.31) (Swift et al. 2011).
I dati più recenti desunti dalla letteratura internazionale (186 studi) mostrano che i pazienti che sono assegnati – a prescindere dalle loro preferenze – ad un trattamento farmacologico hanno un rifiuto della cura che è più elevato del 76% di quelli assegnati alla psicoterapia ed un abbandono del trattamento più elevato del 20%. In media quasi un paziente su quattro con disturbi depressivi ed ansiosi in solo trattamento farmacologico abbandona prematuramente la cura (Swift et al. 2017).
Appare allora assai significativo il dato messo in luce da una meta-analisi di 34 ricerche condotte in diversi Paesi, per un totale di circa 70 mila soggetti, effettuata da Otto e coll. (2013) sulle preferenze di trattamento delle persone con disturbi depressivi, ansiosi e PTSD. In media il 75% dei soggetti (tre su quattro) preferisce un trattamento psicologico, una tendenza rilevata in tutte le ricerche e che diviene più accentuata nei soggetti più giovani e nelle donne. Se si esaminano singole sottopopolazioni il dato varia ma la tendenza rimane chiara e costante. Ad esempio tra le persone già attive nella ricerca di un trattamento la preferenza media per l’approccio psicologico è del 69%, tra i soggetti con disturbo depressivo del 70% e del 75% tra le persone che hanno la possibilità di scegliere non solo tra psicologia e farmaco ma anche un trattamento integrato.
Sono dati medi che certamente si modificano in relazione ai Paesi ed alle culture di riferimento, ma che indicano una tendenza emersa con chiarezza negli ultimi anni. Un trend che andrebbe attentamente valutato dai decisori istituzionali, soprattutto per tutte quelle situazioni (e sono veramente molte) nelle quali l’approccio psicologico è assolutamente competitivo con quello farmacologico sul piano dell’efficacia e dei costi. Peraltro – letteratura alla mano – l’efficacia del farmaco raddoppia se abbinata alla psicoterapia, con effetti maggiori a lungo termine (2 anni e più dalla fine della cura del 50%) (Cuijpers et al. 2014).
Visti anche i nuovi LEA non appare più giustificato che il cittadino che ha bisogno di terapie psicologiche debba sobbarcarsi il costo delle stesse e farle solo se può permetterselo. Tutti ciò alimenta il diffuso non trattamento dei disturbi psichici e la non prevenzione del loro aggravamento, con costi che superano di molto quelli dell’intervento. L’implementazione di servizi psicologici nelle Aziende sanitarie, l’inserimento di Psicologi nelle cure primarie e nuove forme di collaborazione pubblico-privato appaiono necessari per rendere il “sistema salute” più aderente ai bisogni della popolazione.
David Lazzari
Past president Società Italiana di PsicoNeuroEndocrinoImmunologia; Esecutivo CNOP